Il fiore di carta 

26.09.2009

IL FIORE DI CARTA


Ogni bambino ha il diritto di diventare un uomo; io sono diventato nonno, non posso desiderare altro, ora, anche se ho dovuto attraversare molte difficoltà, come tutti. Ma io, come pochi, ho deciso di raccontarmi, o meglio, decisi di raccontarmi già molto tempo fa, quando feci quel fiore di carta per la mamma.

Cara mamma, inizio con te.


CAPITOLO 1

Sento il rumore delle bombe che cadono in piazza della Chiesa, nessuno esce più di casa. Passiamo le nostre giornate leggendo libri, disegnando e razionando il cibo. Vorrei rincorrere mia sorella per tutta la casa, una volta lo facevamo sempre, su e giù per le scale, ma ora non possiamo fare molto rumore.

Il giorno che il re decise di scappare con la sua amante e con un sacco di soldi nella sua carrozza dorata, il popolo iniziò una guerra che portò parecchi uomini a varcare il fronte per difendere la propria terra dalle città vicine che volevano conquistala. Papà partì, senza avvisarci, però. Un giorno uscì a pesca come spesso faceva e non tornò più. Arrivò una lettera che diceva "Miei cari, per voi e solo per voi, lo faccio, perché il futuro possa essere più roseo, perché la nostra terra non vada nelle mani di gente sconosciuta e perché possiate continuare ad essere felici, anche se non dovessi più tornare. Vi amo".

La prima, unica ed ultima lettera di papà, una lettera mai letta.

Mamma non ci permise di uscire di casa per andare a cercarlo, diventava pericoloso. Il paese iniziava a rumoreggiare in maniera diversa; le donne non stendevano più fuori i panni, i bambini non correvano più. Oramai i rumori che prima sembravano chiassosi, ma che erano soavi sensazioni della vita di un paese sano, si erano ridotti a bombe, spari, cavalli in corsa, mentre in casa il silenzio.

Quando il messaggero bussò alla porta, mamma credette fosse la polizia a portarci via per saccheggiare la casa, non sapeva se aprire o fingere non fossimo in casa. Ma una decisione da prendere su due piedi, benché avventata possa sembrare, porta delle conseguenze che devi accettare, qualsiasi esse siano, rassegnandoti al fatto che il breve tempo per decidere non poteva farti necessariamente scegliere la strada migliore.

Mamma aprì, era solo un messaggero, quello che in un'epoca futura si sarebbe chiamato postino.

"Madame, ho una lettera per voi. Credetemi, non l'ho aperta io, non era sigillata. Ero indeciso se consegnarvela, senza sigillo, oppure gettarla per non correre il rischio che voi non mi credeste, però ho deciso di portarvela, anche perché mi è stato detto che qui viveva una donna bellissima e non potevo perdere questa occasione. Mi sono dilungato troppo, vi chiedo perdono, Madame", baciò la mano alla mamma ed andò via a cavallo, girandosi un'ultima volta, prima di voltare l'angolo.

Mamma rimase per qualche minuto sulla porta, poi un'altra bomba la fece sobbalzare e chiuse subito.

"Mio dio che stupida! Aprire ad uno sconosciuto! Dobbiamo fare un buco nella porta per poter vedere sempre chi bussa! Poteva essere la polizia e poi, stupida, tutto questo tempo con la porta aperta, coi miei bambini in bella mostra. Stupida!".

"Mamma, hai finito di insultarti? Non è successo niente, era solo un messaggero, magari quella è una lettera di papà, magari è vivo. Fammi leggere", disse mio fratello Riccardo. Ma mamma prese la lettera e la mise nel camino, ed io la odiai. Strinsi gli occhi come fanno i bambini quando si segnano una cosa per tutta la vita e scappai di sopra con il passo più pesante che potessi avere, con l'intento di far baccano, con la voglia di far arrabbiare mia mamma, con la voglia che il mondo, là fuori, sentisse che in quella casa c'era un bambino arrabbiato, che mi venissero a prendere! Io non ho paura di nessuno!

Il giorno dopo mamma e Riccardo si misero a fare un buco nella porta, uno spioncino.

Ero sulle scale ad osservarli, mentre Sofia faceva colazione sul suo seggiolone. Ricardo era altissimo, più di mamma, e giocavano a spingersi col sedere, mentre col punteruolo cercavano di fare un buco che sembrava non formarsi mai.

Bussarono alla porta, ma ancora non era possibile sapere chi fosse. Però eravamo in casa, era impossibile non sentire il chiasso che quei due facevano proprio vicino all'uscio di casa. Fecero silenzio, anche Sofia guardava la porta, col cucchiaino in mano, come avesse capito che si doveva stare zitti, con lo sguardo serio di chi si chiede "che mai sarà successo".

Un silenzio soffocato, durato pochi attimi, ma che sembrava infinito, venne rotto dalla voce del messaggero "Madame, sono io, apritemi, ho bisogno di parlarvi, siete in pericolo!".

Mamma non ci pensò due volte ed aprì la porta, il messaggero entrò e mamma fece un inchino, invitandolo a sedere.

"Le preparo un caffè", disse mia mamma, volteggiando per la stanza come una bambina. Ero già irritato. Mio padre mancava da meno di un mese e mia madre era in grado di sorridere per un ospite al quale poteva offrire il caffè.

Mia madre era gioviale, sempre piena di altruismo, invitava spesso le comari a prendere un caffè, cantava mentre stendeva; conosceva tutti, in paese, ma da quando mio padre era andato via, non aveva più motivo di sorridere. Eppure si permetteva di giocare ancora con Sofia, di non mutare il suo comportamento, di vivere la sua vita con noi come papà non fosse mai partito, o non fosse mai esistito. Non potevo sopportarlo, questo atteggiamento.

Presi da parte mio fratello per porgli questo mio pensiero e mi disse che questo era il primo ospite dopo quindici giorni, la prima faccia nuova dopo tanto, il sostituto del nostro messaggero che si diceva si fosse impiccato per la paura di essere ucciso durante la guerra.

"Ditemi, perché sarei in pericolo? E soprattutto, perché voi venite a salvare me da questo pericolo e non pensate, invece, a salvare la vostra pelle?".

Il messaggero ci raccontò di aver sentito che in paese stava giungendo il re di Jostein, un uomo spavaldo deciso a tutto pur di estendere il suo potere anche sul nostro territorio. Avrebbe chiesto più tasse a tutti e chi non avesse avuto i soldi avrebbe dovuto dare i propri figli come schiavi al regno.

Mia mamma rabbrividì e si mise a piangere, con la testa appoggiata tra le mani, in un gesto di disperazione che in lei non avevo mai visto.

"Ho fatto di tutto perché i miei figli non sentissero il peso per la mancanza di mio marito, tutto perché non mancasse loro il sorriso, il cibo, sarei disposta anche a lottare con le armi e con le mani per difenderli dalla crudeltà di questa guerra, ma non posso, devo accudirli, devo crescerli, io da sola! E tutti questi sacrifici a cosa sono serviti se arriva un uomo grasso che si fa chiamare IL RE a portarmi via ogni cosa? Cosa faccio se sono da sola? E voi cosa volete da me? Perché siete venuti a dirmi questo? Ora che lo so devo agire, ma non so in quale modo. Se voi non mi aveste detto nulla, sarei stata impreparata ed avrei agito d'impulso, e qualsiasi cosa sarebbe andata bene. Ora che ho il tempo di pensare, questo tempo non sarà abbastanza per prendere la decisione più giusta per i miei figli, perché le strategie vanno bene per le guerre, non nei sentimenti. E se ora prenderò la decisione sbagliata, lo rimpiangerò per tutta la vita. E so già che qualsiasi mia decisione non sarà quella giusta."

Non capivo perché Riccardo non dicesse nulla; era più grande di me, come poteva non porsi la domanda più semplice! Allora irruppi tra le lacrime di mia madre ed il sostegno del messaggero - "io non capisco perché voi siete venuto ad avvisarci, perché non scappate con la vostra famiglia, cosa volete da noi?".

"Ragazzo, prima di venire a fare il messaggero, lavoravo nei campi che distano da voi qualche centinaio di metri. Non mi vedevate perché son sempre stato molto schivo, con le persone. Accudivo i maiali di mio padre ed aravo la terra, il tempo per girare in paese era limitato o quasi nullo. Quando la guerra è iniziata, mio padre si è sparato col fucile che si usa per ammazzare i maiali. Io sono solo, avevo solo lui ed ora non ho più nessuno. Sono uscito di casa ed ho visto che la gente era impazzita, chi gridava, chi si barricava in casa. Non sapevo cosa fare, vagavo senza meta e senza pensieri, quando mi sono trovato di fronte ad un uomo col cappio al collo, in piazza, e quell'uomo era il messaggero. Una donna piangeva ai suoi piedi; volevo consolarla, ma non mi è stato permesso, mi ha cacciata via brutalmente, gettandomi addosso il borsone di cuoio del messaggero. Io l'ho recuperato ed ho iniziato a consegnare le lettere al posto suo. E' stato un po' come rinascere, ho cercato di portare le lettere come speranza agli altri, visto che io non vedevo più la speranza di un buon futuro, per me. Poi ho visto tua madre ritirare gli ultimi panni stesi prima di barricarsi in casa. E' stato come vedere il sole tra le nuvole di fumo di una guerra appena cominciata che vuol già finire e nel peggiore dei modi. Ho visto i suoi capelli raccolti, ho capito che, nonostante cose brutte come la guerra, come mio padre morto, come un uomo impiccato, ci sono anche cose belle come un viso serio che deve lottare contro il pianto e sorridere per le proprie creature. Ho visto una donna forte, anche se sola. E quando ieri mi ha aperto la porta ed ho potuto anche scorgere i suoi occhi, il mio cuore ha iniziato a palpitare sempre più forte. Non avevo mai provato di questi sentimenti."


CAPITOLO 2

Riccardo ascoltava attonito, immerso in un sogno, mentre mia madre aveva smesso di piangere e guardava il messaggero con la serietà di chi assiste a un miracolo.

Il messaggero si chiamava Edmondo. Proponeva di caricare il suo carro a notte fonda e di allontanarci dal paese per cercare una vita migliore insieme e mia madre interagiva nel discorso, portiamo questo, lasciamo quell'altro, chiudiamo la casa per far credere che noi si sia ancora barricati dentro. Progetti su progetti, senza minimamente pensare che se mio padre fosse tornato, non ci avrebbe trovati. Che questo uomo non lo conosceva nessuno, che forse noi figli potevamo non essere d'accordo. Ma l'unico a non essere d'accordo sembravo solo io, cominciavo a sentirmi un po' troppo ostile nei confronti di un messaggero che aveva anche un nome e tanta voglia di prendersi cura di noi.

Mi madre mi guardava storto, con l'aria di chi ti vuol far capire senza le parole "su, alzati, sfaticato, aiutaci ad organizzare il nostro viaggio, un po' d'entusiasmo!" e così mi alzai davvero e dissi "E SIA!" e tutti risero, come avessi dato la mia approvazione non richiesta di bambino di dodici anni ad una decisione presa senza doverlo dire.

Quella notte partimmo con un carro bellissimo. A dire il vero era un carro familiare come tanti altri, con telone bucato e con la paglia sparsa qua e là, ma oramai ero anche io contagiato dall'entusiasmo misto adrenalina per la paura di essere scovato dalla polizia che oramai tutto faceva tranne che salvaguardare il popolo.

Sofia dormiva ed avrebbe dormito per tutto il viaggio; io volevo stare sveglio e guidare i cavalli, ma la mamma me lo proibì, solo Riccardo potette dare il cambio a Edmondo, e soltanto quando fu giorno e fummo al sicuro.

Attraversammo diversi rii, diverse fattorie deserte; non capivo più se eravamo ancora a casa, nello sterminio provocato dalla guerra, o se stavamo davvero dicendo addio al nostro regno per sempre, a papà, alla nostra casa, alla nostra vita.

Raggiungemmo una cittadina di nome Vigor tre giorni dopo, né stanchi e né affamati, perché riposammo, mangiammo e cantammo per tutto i viaggio, in balia di un'euforia inaspettata. Non avevamo più nulla da perdere, tanto valeva essere ottimisti e gioviali, come mamma ci insegnava.

"Qui c'è un amico di famiglia che non vedo da anni, ma che son certo ci ospiterà." - disse Edmondo. Avremmo costruito una casa tutta nostra, noi ragazzi lo avremmo aiutato, dovevamo soltanto far passare qualche tempo ed avremmo avuto una nuova vita.

Quando arrivammo a casa del suo amico, gli animali erano liberi di pascolare, ma non sembravano sereni, come avessero passato la notte fuori. Alcuni non si alzavano da terra, scoprimmo poi che erano morti, ma scoprimmo subito che era morto anche l'amico di Edmondo. Una coltellata al cuore, la casa saccheggiata ed un biglietto sul tavolo con scritto "così hai estinto i tuoi debiti".

La nostra allegria si dissolse velocemente, ma altrettanto velocemente dovemmo seppellire Piero, l'amico di Edmondo, e fare un piccolissimo funerale su una collinetta. Piero era anziano, viveva da solo, tutto quello che aveva rimase a noi.

Non scoprimmo mai chi aveva riscosso questi debiti di Piero, cosa avesse fatto per meritare quella morte; forse, egoisticamente, ci ritrovammo una casa pronta, ci rimboccammo le maniche per farla diventare completamente nostra senza mai porci le giuste domande per fare giustizia alla morte di un uomo.

Passarono dieci anni. Sofia era cresciuta, Riccardo ed io aiutammo Edmondo nella gestione della terra, degli animali, costruimmo una staccionata per non far scappare le pecore che si divertivano a saltare fuori dal recinto, aiutammo mamma con l'orto e piano ci allargammo su un terreno di nessuno.

Vicino a casa c'era un sentiero che portava alla città dove c'era la scuola, dove Riccardo ed io ci facemmo degli amici e studiammo. Il ricordo di nostro padre e di quella vita che fino a qualche anno prima era parte di noi, diventava solo un sogno che ogni tanto tornava nella notte per ricordarci le nostre origini.

In quegli anni Edmondo sposò mamma con un rito civile, nacquero Giada e River e Sofia chiamava il nuovo marito di mamma "papà".

Inizialmente la cosa mi dava fastidio, anche se io lo trattavo come tale e lui trattava noi come figli. Poi ho capito che "papà" è solo un nome e che se anche biologicamente mio padre non era Edmondo e non lo volessi, per orgoglio, chiamare così, lui era quello che si era preso cura di noi, dal nulla, senza conoscerci, col rischio che i nostri caratteri fossero ostili od inaccettabili. Si è preso cura di noi in toto, una famiglia intera per un amore pazzo nei confronti di mia madre. Ci ha amati tutti, mentre mio padre ha deciso di amarci a distanza, di proteggerci combattendo per un paese che non so se ancora esiste.

Mi chiedo, ora che ho ventidue anni, ci ha protetti da cosa? Se fosse rimasto con noi non ci avrebbe protetti in altrettanto modo? Ci ha forse restituito un paese, una casa? No, è andato via per scappare dall'idea di non poterci proteggere. Se avesse fallito a distanza, nessuno avrebbe potuto puntargli il dito contro. Non ci ha protetti, ci ha abbandonati, ed Edmondo ci ha accolti tra le sue braccia. Non è un nome o un seme a fare di un uomo un padre, ma i suoi gesti.

Il giorno del mio ventitreesimo compleanno, finiti i festeggiamenti a casa e con gli amici, passeggiavo in riva ad un rio quando vidi una ragazza che si faceva il bagno. Ho combattuto la timidezza con l'arroganza. "Scusa, ma ti sembra il luogo per mettersi nude? Non hai una tinozza, a casa?". "Certo che ho una tinozza, Benny, ma sono tre mesi che ti seguo e non mi noti, questo era l'unico modo perché tu mi vedessi. Buon compleanno!" - mi disse.

Era la sorella del mio amico Peter, ma io ero attirato ancora dai sassi e dalla fionda, non la guardavo, non l'avevo mai notata. Lei invece cercava in tutti i modi di capitarmi davanti, vuoi che le cadevano i libri, vuoi che un giorno fosse inciampata su un sasso. Io l'aiutavo ed andavo per la mia strada. Vederla nuda è stato un po' diverso, non ho pensato ai sassi da prendere a calci, non ho proprio pensato, anche se il mio corpo reagiva come non mi sarei mai aspettato.

E così iniziammo a conoscerci, sia spiritualmente che concretamente, ed i nostri caratteri erano molto simili. Iniziai a portarla a casa, iniziava a diventare di famiglia.

"Ma davvero non vuoi sapere che fine ha fatto tuo padre?", mi diceva Emma. "No, mio padre è Edmondo", le rispondevo, e con questo concludevo le nostre discussioni.

Un anno dopo volevamo sposarci. Il terreno era della sua famiglia, a mio padre, i miei fratelli e a me il compito di edificarci sopra la reggia per una vita insieme, dove mai avrei abbandonato Emma per vigliaccheria, qualsiasi cosa fosse accaduta, malattia, guerra, fame. Un impegno va preso e portato a termine fino in fondo. Volevo sposare Emma perché l'amavo e volevo passare la mia vita con lei.

"Benny, ti devo parlare. Tu dimmi che mi ami, qualsiasi cosa io abbia da dirti".

Esordire con quella frase da parte sua voleva essere un modo per capire quanto potessi reggere una notizia, qualunque essa fosse.


CAPITOLO 3

"Sai, non potevo sopportare tu no sapessi il motivo per cui tuo padre fosse andato via, a costo di scoprire qualcosa di brutto e non dirtelo mai". Avrei voluto interromperla, eppure qualcosa mi diceva che Emma non mi avrebbe mai voluto fare del male, se voleva parlare ne aveva un valido motivo.

"Lo so, ho fatto tutto di nascosto, hai il diritto di essere adirato con me, ma sai che ogni cosa che faccio non è mai spinta da cattiveria. Mi sembrava così strano che tuo padre potesse sparire e che Edmondo, bravissimo uomo, potesse apparire, così, di colpo, nella vostra vita..." - "Fermati, Emma. Se hai qualcosa di brutto da dire di Edmondo io non lo voglio sapere".

Perché sospettavo qualcosa di negativo nei confronti di quello che per me oramai era mio padre?

"Non capisci, Emma, che ora la mia vita è questa? Che è stato difficile accettare che, dopo dodici anni, mio padre di colpo mi abbandonasse per la guerra? Difficile credere che pochi giorni dopo apparisse un nuovo padre, pronto ad amarmi? Non rovinarmi la vita, Emma, ti prego, non lo fare. Ho come il sospetto che non mi rialzerò indenne da questo tuo racconto".

"E' vero, amore mio, ho delle cose da dirti che non ti faranno piacere e mi costa non tenere questo segreto per me. Potrei scriverti una lettera e consegnartela quando i nostri figli saranno andati via di casa, i tuoi genitori non ci saranno più e tutto quello che ci resterà saranno solo i campi da accudire e la morte da attendere. Ma allora avrei il rimpianto di un peso, un segreto che peserebbe nel mio cuore, non sarei mai serena, no sarei mai me stessa. Qualsiasi cosa io abbia ora da dirti, devi pensare che a volte le decisioni di un uomo prese per amore possono essere piene di piccoli errori e piccole scorrettezze, ma Edmondo li ha pagati con un rimorso che tutte le notti lo fa piangere in silenzio. Devi pensare che le decisioni prese repentinamente hanno per necessità qualche piccolo difetto, ma basta utilizzare la giusta chiave per leggere questa storia, e ti alzerai indenne. E se cadrai, ti aiuterò a rialzarti ed insieme continueremo a camminare sul nostro sentiero insieme.

Io ti conosco, Benny, so che non porterai rancore, nonostante tutto. Ma è anche giusto che tu non creda sia esistito un uomo codardo quale credi fosse il tuo vero padre. C'è stato un'evolversi di cose che ha fatto agire Edmondo nella maniera migliore per portarvi via da una situazione precaria quale quella che avevate."

Emma iniziò a raccontare, io imparai a fumare.

"Tuo padre andò a pescare, quella mattina, e quella mattina stessa iniziò la guerra. Passava di lì Edmondo quando spararono a tuo padre ed egli, in fin di vita, disse ad Edmondo di prendersi cura della sua famiglia. Poteva passare di lì un poco di buono, poteva non passare nessuno e mai avreste avuto la vita che ora avete, invece Edmondo passava di lì. "Io ti ho visto, ho visto come guardi mia moglie. In un'altra circostanza ti potrei ammazzare, per quegli sguardi su di lei, ma adesso so che non potrò più tornare a casa, so che il mi corpo giacerà qui. Scrivi a mia moglie che l'amo, che mi hanno minacciato di far del mal alla mia famiglia se fossi tornato a casa. Scrivi loro che li amo e che se questa guerra finirà ed io mi salverò, tornerò da loro", e tra le braccia di Edmondo, tuo padre morì, con due colpi di fucile sparati tra stomaco e cuore, da un uomo a cavallo.

Quando Edmondo portò la lettera a casa vostra dovette anche fare da messaggero, perché il vero messaggero si impiccò. Quando consegnò la lettera a tua madre sapeva già a cosa andava incontro, ma non poteva sapere tua madre avrebbe bruciato la lettera. Quando lo apprese, non poteva dire il vero, aveva promesso ad un uomo in fin di vita di proteggere tua madre, i suoi figli, la sua famiglia dalla verità e dal dolore.

Tuo padre non era un vigliacco ed Edmondo non è un menzognero, Benny. Semplicemente, qualcuno ha voluto che voi non foste soli ed ha messo Edmondo, uomo solo già da tempo ed innamorato di tua madre, al posto giusto e nel momento, anche se brutto dirsi, giusto".

"Cosa mi racconti, Emma?" - piangevo.

Mi fece un te; eravamo a casa sua ed i suoi non c'erano. Non mi calmai, cercai di attribuire ad Edmondo bugie su bugie. Forse aveva ucciso lui mio padre, forse aveva ammazzato tutti, un piano perfetto per avere mia madre. Ma allora poteva uccidere anche noi e costruire una famiglia nuova con lei!

Quando ti piombano bigie e verità sulle spalle dopo anni passati a dare un senso alla tua vita, quando tutto si stravolge, non sai come sentirti, non sai più a cosa credere, anche la verità prende forme così diverse da farti sentire davanti ad uno di quegli specchi delle giostre che ti fanno vedere grasso o magro.

Pensare Edmondo potesse essere un assassino era ridicolo; ci aveva cresciuti con l'amore di un padre, senza fare differenze tra i suoi figli e noi, già grandi e figli di un altro uomo. Credere di poter riversare su di lui l'odio per la morte di mio padre, per anni da me menzionato come un vigliacco, mi faceva stare bene, ma al tempo stesso significava perdere un altra volta un padre, Edmondo.

"Perché me lo hai raccontato, Emma? Amare non significa anche tacere delle verità che sai potrebbero ferire la persona che ami? Amare non significa far vedere bella anche una cosa che non lo è solo per il gusto di veder sorridere qualcuno? Ora, io come posso andare avanti? E come hai saputo tutta questa storia? Mi scoppia il cervello!"

Ancora parlammo, ancora piansi, mi arrabbiai con Emma, non capivo, non ero lucido. Corsi via di casa, corsi lungo quel rio dove l'avevo conosciuta, le scarpe piene di acqua e di sabbia, le lacrime che non riuscivano a rimanere aggrappate alle mie ciglia. Il buio iniziava a calare ed io iniziavo a non capire più dove fossi. Quanto avevo corso? La mia futura moglie mi aspettava seduta ad un tavolo della cucina ed io la stavo abbandonando.

Tornai indietro trafelato mentre Emma e suo fratello Peter mi stavano cercando tra i boschi. "Emma, l'ho trovato!" - disse Peter, ed io aprii le braccia mentre lei mi corse incontro.


CAPITOLO 4

Quando i bambini sono piccoli gli si raccontano molte storie, che esiste Babbo Natale, che quando piove sono gli angeli che fanno pipì, che il topolino porta loro il soldino quando cade il dentino... Ma arriva un giorno in cui si dice loro la verità oppure in cui la scoprono da soli. Se Emma non mi avesse raccontato il vero e lo avessi scoperto al termine dei miei giorni, non avrei mai avuto modo di rapportarmi con Edmondo, avrei odiato tutti, lui per il segreto, Emma per non avermi raccontato tutto, mio padre per quel sentimento che oramai portavo da anni dentro di me. Sarei rimasto con un logorio eterno per una vita piena di menzogne. Ora so, so che Edmondo si è portato dietro la responsabilità di un segreto, di una famiglia, il rischio di ottenere il mio odio, tanti sentimenti e situazioni che solo un uomo forte come lui poteva sopportare.

Emma aveva chiesto ad Edmondo di raccontargli cosa fosse accaduto a mio padre. Aveva avuto la sfrontatezza ed allo stesso tempo la percezione le cose non fossero lineari e lei dovesse sapere la verità e che quella verità se la stava portando dentro Edmondo. Emma aveva letto bene negli occhi di quel mio nuovo padre, un uomo onesto, ma con un grande peso dentro, una verità che voleva tirare fuori ma che rimaneva dentro per la paura di perdere la sua famiglia.


CAPITOLO 5

"Mamma, voglio scrivere un libro, voglio diventare uno scrittore, voglio crescere in fretta, altrimenti dovrò aspettare di essere grande per scrivere, perderò tanto tempo e..." - "... inizia a perdere meno tempo con le chiacchiere e vai a lavarti, devi andare a letto, domani la scuola ti aspetta, altrimenti difficilmente diventerai uno scrittore".

Questo è quello che dissi a mia madre all'età di undici anni, quello era il mio sogno. I miei amici volevano fare i poliziotti, gli astronauti, i cavalieri del re. Un mio compagno, Sebastiano, voleva fare il bandito, diceva sempre che i banditi erano ricchi e comandavano e quando raccontavo queste cose a mia madre, lei mi diceva di cambiare genere di amicizie, perché un bambino che dice queste cose non può che avere pessime influenze in famiglia.

Ma uno scrittore non deve forse capire e conoscere più persone per poter scrivere? La cultura è importante, come altrettanto importante è l'intelligenza, ma un uomo colto ed intelligente, però privo di esperienze, un uomo che non conosce gli uomini, non è un uomo in grado di affrontare la vita, non saprà mai rapportarsi con nessuno.

Erano giorni che provavo a fare una barchetta di carta; mia madre era bravissima, in questo. Le mie, però, venivano sempre storte, ed io mi arrabbiavo. Così, un giorno, disegnai un fiore di carta, e provai a scrivere una lettera a mia madre.

"Cara mamma,

non riesco a farti una bella barchetta di carta, ma tanto non ti porterebbe in mare, e poi non sai nuotare. Allora ti faccio un fiore. So che non ti piacciono i fiori, ma questo è di carta, non muore, non devi dargli l'acqua, non devi metterlo in un vaso, basta solo guardarlo e pensare che io sono il tuo bambino ed ho pensato ad una cosa che non ti piace, ma che ti può piacere perché diversa dalle altre".

Nascosi la lettera sotto il letto di Sofia e non la consegnai mai a mia madre.

Oggi mi sposo e mia sorella mi porta una busta. "Fratellone, forse questa lettera giungerà alla mamma un po' in ritardo, ma credo oggi più che mai abbia bisogno di distrarre le sue lacrime. Sei il suo secondo figlio e tra poco te ne andrai di casa, falle questo regalo".

Diedi al messaggero la mia lettera "Grazie per essere stato il miglior padre che potessi avere. Ti chiedo un ultimo piacere, c'è una lettera da consegnare a tua moglie".

Vanessa La Rosa

© 2017 Vanessa La Rosa - Antonella Parrucci
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